Il mefistofelico Don Gaetano nato dalla penna di Leonardo Sciascia biasima, in una pagina di Todo modo, “coloro che non si curano di ciò che mangiano” e definisce eroe, paragonandolo a Catone, il cuoco e maestro di cerimonie francese Francois Vatel: suicidi entrambi, il primo “per la libertà che se ne andava” e il secondo “per il pesce che non arrivava”.
Il pesce di Vatel in realtà arrivò, anche se con fatale ritardo, e per Assaggi di Teatro Massimo Riccioli lo rende protagonista di un’intensa interpretazione dell’opera del suo conterraneo, messa in scena da Fabrizio Catalano Sciascia e Maurizio Marchetti. In una giornata molto speciale al ristorante La Rosetta forme, sapori, colori e profumi marini si inseguono e corteggiano, intrecciandosi in un saporitissimo labirinto dove gli ospiti dell’eremo di Zafer si perderebbero volentieri.

La mano vaga indecisa ma piena di desiderio sulle crude delizie della imponente piramide di ostriche, faraonico omaggio al palato raffinato del moderno Lucullo e che, per essere un “cibo del tutto insoddisfacente per il lavoratore”, ma “perfetto per il sedentario, come cena prima di una bella dormita” (A.J. Bellows), più che alla penichella invitano i sensi dei partecipanti al ritiro spirituale ad accendersi. E li preparano al pesce che i gourmand immediatamente associano alla Sicilia: il tonno, qui appena scottato ma decisamente caduto in amore per un’oca, anzi per il suo fegato grasso. Gli fanno compagnia un’insalata di tenere puntarelle romane irrorate di aceto di Marsala e le eleganti sensazioni di glicine e prugna gialla del vino bianco delicato nella leggera speziatura di pepe bianco, frutta secca e agrumi.

La Sommelier Francesca Tradardi stappa poi un vino la cui sapidità si stempera nella dolcezza della girandola di gamberi rossi croccanti, portati in tavola con misticanza di campo in salsa di limone; un piatto ricco e complesso, dove la frittura è leggera e perfettamente sgrassata dalla fragranza del Vermentino con i suoi delicati profumi floreali di erbe spontanee di campo e salvia.
Massimo Riccioli in persona porta poi in tavola lo spettacolare Astice blu servito intero teneramente abbracciato alle linguine e incastonato fra pomodori datterini di Terracina. La forchetta si muove come l’aspersorio del prete todo modiano su questo piatto ricco e potente che esige la struttura e i profumi solari dello Chardonnay. I riflessi d’oro e le carezze morbide e vitali del vino si concedono anche allo Scorfano grigliato ai quattro sali con insalata di carciofo romano piatto dedicato da Massimo Riccioli ad Assaggi di Teatro.

Il ritiro spiritual-culinario a La Rosetta si chiude con Bavarese di arance e Sacher al mandarino con il suo sorbetto, alla quale il vino porta, come un canto di sirene, i ricordi della macchia mediterranea, con profumi di frutta secca e candita e piacevole finale ammandorlato.

La mano davvero felice dello chef, il calibrato gioco di armonie e contrasti, le cotture attente, sono frammenti di uno specchio che riflette la tecnica perfetta di Massimo Riccioli e ricordano una delle battute di Don Gaetano: “il cuoco… un uomo intelligente, e si vede da come cucina”. Virtù non scontata in tempi di schiume e virtuosismi culinari da piccolo chimico e forse “Todo modo per buscàr la voluntad divina”, come diceva Ignazio di Loyola. Lo spirito soffia dove vuole e il prodigio, come sempre, è nell’uomo.
Maria Luisa Basile
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