In giardino non ci si sente mai soli, recita il titolo di un libro, e tantomeno nell’orto, potrebbe replicare Mariangela Susigan, icona femminile della cucina stellata piemontese delicata ed energica insieme, proprio come lo spazio verde tutto fiori, germogli e ortaggi che circonda il casale Ottocentesco nel quale è ospitato il suo ristorante.
E proprio alla vita del giardiniere si può paragonare l'esperienza di questa chef: molto tempo trascorso all’aperto a scoprire la natura e i suoi tesori, pazienza, tentativi e sperimentazioni che portano il nome delle stagioni. Ma anche degli incontri con i maestri, dalla madre, esperta cuoca della tradizione, all'ortolano ai margari i quali, conducendo gli armenti da una Valle all’altra, ben conoscono il territorio e sanno consigliare e insegnare a riconoscere le erbe che crescono sulle diverse montagne e quote. Quelle erbe che rappresentano una peculiarità unica del Canavese -come della regione Piemonte più in generale- e che sono, a volte con modestia altre con spavalda esuberanza, la vera cifra stilistica dei sapori di cucina del Gardenia. Un esempio? L’aglio selvatico orsino, che, come scopre la cucina dopo pazienti tentativi, cotto perde qualunque sapore mentre crudo sprigiona al meglio il proprio aroma, nel menu va ad aromatizzare il burro usato per la mantecatura del riso. Ne nasce il Risotto mantecato all’aglio orsino e arricchito da baccalà al latte e salsa di Erbaluce, ossia da uno dei simboli della cucina povera e da un vitigno vanto della zona. Ecco dunque come si presenta la cucina della Susigan, con quella spontaneità e semplicità che nascono dall’esempio umile della natura, dalla conoscenza delle tradizioni e dalla capacità di tradurle in sapori moderni, grazie a tecnica e sperimentazione portate a perfezione. Una visione anche filosofica della vita che nel proprio territorio trova il nodo con il quale allacciarsi all’Oriente, amata meta di viaggi e ulteriore fonte di ispirazione per la cucina.
Questo intreccio gioca il suo balletto nel menu, dove l’occhio vaga beato fra nomi di erbe familiari e rare, rese speciali dalle preparazioni nelle quali si mescolano e fondono, come il Fassone in alpeggio, crescione, oxalis (l’acetosella dei boschi dal sapore acuto e pungente, aspro come l’aceto e per questo già anticamente usata per insaporire le insalate) e salignun (formaggio tipo ricotta asciugata nei teli e impastata con peperoncino, cumino e sale) o la Gallina biologica con fichi fagiolini e foie gras al Passito di Caluso. Il pennuto ritorna anche come ripieno degli agnolotti al plin insieme a borragine e maggiorana, mentre è il Piccione a crogiolarsi nei cannoli di cicoria. Il Maialino da latte è più succulento quando è caramellato all'arancia, cipolla rossa e timo serpillo (immaginiamo chi lo raccogliere su una scarpata sassosa e assolata e poi lo essicca in amorevole ombra) e la Quaglia di babettiana memoria si farcisce di erbe e animelle per poi cuocere nella creta di Castellamonte (le cui ceramiche abbelliscono anche la sala del ristorante) e adagiarsi nel piatto con la salsa di lamponi per vezzo. L'Oriente fa capolino nei sapori ittici, come l'Ostrica in viaggio, piatto di crudi, salsa d’ostrica e allo yogurt o i Cannoli di scorfano e crostacei con tisana di zenzero e menta.
Erbe aromatiche e piccoli frutti di bosco essiccati in casa tornano in dolci dai nomi allettanti, come il Croccante di fragole, cioccolato bianco e dragoncello dal delicato profumo fra l’anice e il sedano o il Soffiato di cioccolato fondente in salsa di pesche e gelato all'amaretto, dichiarazione d'amore alla regione.
A fare da scenografico sipario alla degustazione dei piatti, una bella sala ottocentesca dalle atmosfere calde e antiche nei toni energetici dell’arancio e del verde mela e, in estate, il piacevole pergolato con vista sul giardino (e udito sugli impagabili coccodè di un vicino pollaio) ombreggiato e fresco. Per sentire più vicine le profonde radicine con la terra.
© Maria Luisa Basile |