Fra le dieci cose da fare alla Venaria Reale elencate in un volumetto in circolazione nelle librerie torinesi, spicca l’ascolto del bramito del cervo. L’avventura, si raccomanda, va consumata di notte, nella settembrina stagione degli amori del quadrupede, tra le fronde dei boschi umidi e misteriosi del Parco della Mandria. Seguono nove meno perigliosi piaceri, dalla sosta nella piazza della Santissima Annunziata, alla conta dei 290 getti che compongono il Gran Teatro d’acqua, sino alla stendhaliana emozione suscitata dallo spettacolo di luce della sontuosa Galleria Grande, ai quali noi aggiungiamo l’undicesimo: degustare alla Reggia.
L’ascensione alla real torre che ospita il ristorante avviene in ascensore e se la modernità caratterizza anche le ariose – un po’ austere – sale, è sufficiente l'affaccio sulla terrazza panoramica con vista sui giochi d’acqua delle fontane e sull'infinito del verde arazzo dei giardini, per ritornare a settecentesche e juvarriane atmosfere.
Calore e fasto sono riservati alla tavola, ampia e rotonda, imbandita con svariati tipi di pane, quattro diverse mattonelle di burro aromatico, le ormai immancabili cheaps servite con l’aperitivo e presto scalzate nel ricordo dai giocosi amouse bouche: un'ostrica trasformata in perlaceo sorbetto o un trancio di salmone in vetro a prova di non fumatori. Immancabile poi il valzer con i classici della cucina di Alfredo Russo, di inconfondibile matrice piemontese ma aperta alle influenze e ai prodotti di altre parti d’Italia, l’amato Sud in testa, e al desiderio di giocare con consistenze e creatività per suscitare emozioni, stimolare il palato e regalare multisensoriali ricordi.
Il capitolo degli antipasti è aperto dai contrasti morbido-croccanti e caldo-freddi di Vitello tonnato arrotolato in panciuti fagottini irrorati da salsa caramellata agli agrumi, Lingua di Fassone piemontese con salsa verde di inaspettata consistenza, appetitoso Polpo grigliato coronato da capperi e polenta cruda. Lo chef si diverte a elaborare con creatività i piatti più semplici e più conosciuti della cucina italiana in preparazioni che ne rinnovano la scoperta. È il caso del Pomodoro pane e basilico, una tricolore coccarda golosa nella quale si intrecciano colori sapori e profumi dei prodotti simbolo della penisola o della Pasta in bianco olio e parmigiano, trasformata da piatto-cenerentola di sciapo sapore a principesca lasagna multistrato che si vorrebbe non finisse mai. Gli eterei e delicati Raviolini ripieni di barbaboc (barba di becco) conditi con burro di montagna e pecorino dolce sono gli eredi dei piemontesissimi "pizzicati", mentre hanno un'eco più mediterranea i ghiotti Spaghetti di Gragnano con bottarga di cozze ed emulsione all'aglio.
La padronanza della tecnica di cucina è particolarmente gradita dai non vegetariani che, fra un Coscio d'anatra arrostito (citazione, con i suoi profumi agrumati, dell'anatra all'arancia) e uno Stracotto di Fassone spiritosamente infilzato come uno spiedino e vivacizzato da una brunoise di pomodori freschi, apprezzano l'equilibrio fra elastica resistenza e arrendevolezza al coltello (e al palato) delle carni.
Smontaggi e ricostruzioni caratterizzano anche i dolci, altra grande passione dello chef, preceduti e seguiti da una serie di piccole golosità come la successione di sorbetti di frutta e liquirizia e l’albero della cuccagna dal quale dondolano decine di dolcetti racchiusi in bustine trasparenti.
La natura circostante, i boschi e i pascoli evocati dai tanti vasetti delle spezie e dal carrello delle tome ovine e caprine, forse inducono davvero l’ospite, infine rifocillato e felice, a cercare il cervo per bramitici ascolti.
© Maria Luisa Basile |