Alba, o Arba come è chiamata in dialetto langarolo, è celebre per la Fiera del tartufo bianco che si svolge in autunno, ma la cittadina merita di essere visitata in ogni stagione dell’anno. La chiesa di S. Domenico dal portale a scacchi bianchi e rossi, le Torri squadrate stagliate sui cieli limpidi o perse fra le nebbie invernali e l’imponente duomo gotico suggeriscono atmosfere medievali suggestive. E alla piazza, ossia al cuore della città, si ispira l'insegna di questo raffinato indirizzo gourmet.
Il palazzo che ospita il ristorante all’esterno è del color dell’uva, in omaggio forse al vino delle Langhe e alla famiglia Ceretto, e all’interno è chiaro e luminoso, di un tenero rosa vivacizzato da un affresco della vita che percorre pareti e soffitto in un labirinto che stuzzica lo sguardo.
Poi c’è la cucina, quella emozionante di Enrico Crippa, nella quale confluiscono gli insegnamenti di grandi maestri: Gualtiero Marchesi, con la sua passione per l'estetica e la cultura dell’Oriente e Michel Bras, "maestro di poesia" sensibile alla natura e ai suoi frutti. Ci sono la cucina Kaiseki e il Giappone (dove Crippa ha lavorato alcuni anni, prima a Kobe e poi ad Osaka, respirandone spirito e filosofia) nei finti ravioli di rapa con cuore di cappesante che giocano a mimetizzarsi con la porcellana bianca del piatto punteggiata da coriandoli di aceto di umeboshi, le prugne giapponesi.
Il territorio conquista il piatto con gli gnocchi di Seirass, gli agnolotti ai tre arrosti, il tonno di coniglio che gioca con i colori, il riso al Castelmagno con cioccolato e vino rosso e poi con le carni pregiate, dal guanciale di bue grasso brasato al Barolo al piccione di Sante arrosto. C’è uno spleen d’Oriente nel Consommé di tonno e rape, affumicato all’aringa con fegato grasso, quinoa e castagne. L’amore per la natura diventa un trionfo nell’insalata botticelliana di 21, 31, 41 o più fra erbe, fiori, semi, foglie che lo chef coltiva o raccoglie nei prati e sulle colline che ama conquistare a colpi di pedale.
Di grande classe infine i dolci, piccole opere di scultura golosa come la spugna al sapore di nocciola tonda gentile o il soufflé di cioccolato con cuore di bonet. Mentre la frutta e i fiori regalati dalle stagioni diventano i tasselli che formano coloratissimi mosaici-minestroni, di foggia e sapore sempre diversi, a seconda del periodo dell’anno.
La carta dei vini è all’altezza del locale e rappresentativa del territorio che lo ospita, con interessanti proposte anche al calice.
"Quando vi impegnate nell'arte della cucina, non dedicate alle cose comuni uno sguardo comune, sentimenti e pensieri comuni. Con quella foglia di verdura che rigirate fra le dita, costruite una splendida dimora di Buddha e consentite a questo infimo granello di polvere di proclamare la propria Legge." Dogen Zenji, Istruzioni a un cuoco zen
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