Caccia al gusto
“…abbiamo stanato questa preda,
come tu hai ordinato. La nostra caccia non è stata vana.”
Euripide, Baccanti 434
Desiderio di accerchiare, stanare, catturare l’entità inafferrabile per eccellenza, Dioniso che, fra i tanti nomi, ha anche quello di Zagreus, Bacco cacciatore, dio dell’ebbrezza vitale indotta dal vino, elargitore di felicità e di una conoscenza più alta. Anche questo è La caccia, lo spettacolo ispirato alle Baccanti di Euripide, diretto e interpretato da Luigi Lo Cascio. L’intreccio di gioco e ferinità della caccia si manifesta già nell’amuse gorge, dove una coscetta di colombaccio e un totano tentacolare bramano, da una nuvola di patate, la torre di morbida burrosità sormontata da bottarga e carciofo crudo e rinascono nelle onde mediterranee del vino, perché nel vino è la verità, anche quella dei sapori. Dioniso è per gli Ateniesi il dio del teatro e il teatro che parla di Dioniso parla dunque anche di se stesso. Così Acquolina cita la propria vocazione marinara ma anche la capacità di indossare nuovi abiti di scena nel piatto dedicato dallo chef Giulio Terrinoni ad Assaggi di Teatro in carta dal 10 al 22 febbraio: le Pappardelle al nero di Seppia con ragù di cinghiale, pera cotta nel vino rosso e pecorino. Il piatto è sontuoso. È pensiero ed emozione, è gustosa sintesi culinaria dei temi della tragedia di Euripide: c’è la preda e vittima animale agognata da ogni cacciatore, c’è l’eco del mare solcato dalle navi con reti per catturare e alberi maestri come quello tramutato in vite da Dioniso, prima di giungere all’isola di Nasso e incontrare la futura sposa Arianna. E c’è il rito dionisiaco celebrato sia come ingrediente del piatto sia come nettare che lo accompagna: “l’umido succo d’uva che libera dal dolore gli infelici mortali, quando si inebriano con la linfa della vite, e dona il sonno, oblio dei mali quotidiani…” (Euripide, Baccanti 280). Continua l’intensità di sapori, raccontata anche da Angelo Troiani che sulla selvaggina ricorda gli insegnamenti del suo maestro Igles Corelli “frollatura ridotta, marinatura quasi assente per far sentire la voce dell’animale e non nascondere ma esaltare il selvatico”. Come le donne di Tebe indossano un abito di scena trasformandosi in Baccanti, lo scorfano e il tordo (e come non pensare al tordo goloso di Esopo) si avvolgono in un fagottino di pane che ne custodisce i sapori combinati con cime di broccoletti e salsa alla cacciatora, in riuscito equilibrio tra l’elemento dolce e quello amarognolo. Su tutto le potenti note del vino rosso che fa volentieri superare i limiti della razionale sobrietà. “… e la fatica non è più fatica Maria Luisa Basile |
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Fotografie dello spettacolo La caccia di Luigi Lo Cascio |
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