La Natasha di Guerra e pace di Tolstoj e i fratelli Karamazov di Dostoevskij si sarebbero sentiti a proprio agio ai tavolini di questa piccola Sala da tè (un tempo ai limiti dell’antico Ghetto, a pochi passi da quella piazza Mattei che incastona la bella Fontana delle Tartarughe). La Russia è evocata dalle note icone: il samovar d’argento, i colorati abiti tradizionali, le pallide maschere, le porcellane dipinte in blu e oro, le tovaglie bianche ricamate, la musica di sottofondo.
Samovar d’argento, abiti tradizionali e porcellane
La clientela è composta sia dai turisti stranieri, attirati e divertiti dall’ambiente caratteristico, sia dai romani che qui si danno appuntamento per conversare al tepore di una tazza di tè.
Il samovar è solo un ornamento, ma la preparazione del tè avviene secondo un rito preciso. Si sceglie da una lista che ne indica le caratteristiche o dalle scatole appoggiate sugli scaffali e in caso di indecisione, si viene intervistati sui propri gusti e orientati alla scelta più soddisfacente. L’acqua viene portata a bollore su un fornelletto nascosto da un paravento verde dipinto e quindi versata sulle foglioline deposte in panciute teiere. I servizi da tè dai decori bianchi e blu floreali o geometrici sono allegramente spaiati, come pure i piattini sui quali troneggiano le generose fette di torte casalinghe o i blinis, arricchiti con marmellata di frutta oppure con caviale. Non uova fatali dunque, come quelle del romanzo di Bulgakov, ma di pacifico storione. |