Bartolomeo Stefani, capocuoco alla corte mantovana dei Gonzaga e autore di un importante trattato di cucina, già nel XVII secolo conosceva la ricchezza del patrimonio alimentare dei diversi territori e invitava a non chiudersi nel proprio piccolo orizzonte gastronomico. Per allargare i confini del gusto a Roma i locali non mancano, ma in questo piccolo bistrot (così vicino e così lontano da via Veneto) si torna volentieri, in compagnia di – pochi - amici o con una persona cara al cuore. E non perché vengano proposte seducenti ricette afrodisiache o vini francesi di grandi annate, ma per un’atmosfera intima e accogliente fatta di boiseries, luci calde e discorsi non urlati che unita alla gentilezza del servizio avvolge e fa stare bene.
Ai tavolini in legno apparecchiati con semplicità arrivano teneri richiami alla cucina d’oltralpe, in un repertorio di sapori che offre piccole ma invitanti proposte, elencate in una carta misurata a pranzo e più ampia la sera. Fra le migliori della città la tartare di carne, morbide le terrine, etereo il carpaccio di gamberi e squisito il foie gras esaltato da gelatina al moscato color pesca. Fra le zuppe, una bella alternativa alla classica soupe d’oignon è quella altrettanto profumata di lumache in crosta accompagnate a un pane scuro e robusto. Piacevole epilogo è il cucchiaino che affonda seducente nella crème brulée. Naufragio dei sensi da celebrare con un bicchiere di Muscat francese e poi stemperare in una promenade alla Casina delle Rose nei sentieri della vicina Villa Borghese, sino ai confini di rimbaudiana azzurrità e verzura, dove “i fiori del sogno rintoccano, risplendono, fan luce” e tutto finisce in uno sbando di profumi.
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Dedicato a Marco C.
Tu en es ancore à la tentation d’Antoine. L’ébat du zèle écourté, les tics d’orgueil, l’affaissement et l’effroi.
Arthur Rimbaud, Illuminations |