Storie gourmet – Dialetto romanesco
Definito da Dante “turpiloquio”, il dialetto romano non è forse fra i più eleganti, ma risulta assai simpatico e comprensibile. Chi voglia apprenderne i primi rudimenti, può iniziare a bazzicà le bettole più accaciarate, rimbambendosi con le chiacchiere degli avventori, ordinando ‘na bruschetta e ‘na savonea al cameriere acchittato in battichiappe per azzuppà il palato, guardando l’oste scavolà un vino abbocatello, lasciando una piotta di mancia senza alluccà e poi sbioccandosi con i sonetti del poeta Giuseppe Gioacchino Belli, gustosi ritratti della città e dei suoi abitanti. |
Mo ssenti er pranzo mio. Ris’e piselli, Poi fritto de carciofoli e ggranelli, Ce funno peperoni sott’aceto, Eppoi risorio der perfett’amore, Bbè, cche importò er trattore? Belli, Er pranzo de le minente (*) (*) I minenti erano coloro che vestivano l’abito proprio del volgo romanesco |
Foto grande in alto: Achille Pinelli, Carrettella delle Ottobrate romane |