Storie gourmet – Il basilico di Isabella
Il basilico viene importato in Europa da Alessandro Magno intorno al IV secolo a.C., di ritorno da una campagna in Asia, nei pressi dell’India. Insieme alla pianta arriva la leggenda di una ragazza di nome Vrinda. Una storia complessa, popolata di gelose divinità, demoni e angeli e alla fine della quale ci scappa il morto: lo sposo di Vrinda. La ragazza ne è talmente sconvolta da perdere il senno e compiere l’insano gesto di lasciarsi bruciare viva sulla pira dello sposo. Per tramandare la memoria della devozione della fanciulla, gli dei degli indù trasformano i suoi lunghi capelli bruciati in una pianta dal profumo soave chiamata tulsi, o basilico e ordinano ai sacerdoti di venerarla. Ancora oggi in alcuni tribunali indiani i testimoni prestano giuramento su un ciuffo di basilico, milioni di devoti iniziano la giornata in preghiera intorno alla tulsi e la sera le accendono un sacro lumino. In Europa la storia di Vrinda, un po’ come la piantina del basilico, subisce molte mutazioni divenendo più morbosa. Il nome della ragazza muta in Lisabetta che, non sopportando l’idea di separarsi dal corpo dell’amato ormai morto, ne taglia la testa e la seppellisce in un vaso di basilico. Lisabetta innaffia il basilico con le sue lacrime sino a morire di crepacuore e grazie allo specialissimo nutrimento, la pianta diviene talmente grande e rigogliosa, che la gente va in pellegrinaggio a visitarla. La storia di Lisabetta ha ispirato numerosi scrittori, poeti e pittori. Tutti hanno esaltato il legame tra il basilico e la follia, tanto che gli europei cambiarono il nome originario di tulsi in basilicum, in onore del basilisco, l’animale mitico che si riteneva crescesse nel cervello di coloro che annusavano la pianta. Nel Decameron di Boccaccio la storia di Isabella compare nella Giornata quarta, Novella quinta. La storia narra di tre giovani mercanti e della bellissima sorella Isabella che vivono a Messina. La ragazza è innamorata, corrisposta, dal garzone di bottega Lorenzo e i due si incontrano segretamente. Quando i fratelli di Isabella lo scoprono, decidono di uccidere il garzone perchè vogliono che la sorella sposi un ricco mercante. Invitano Lorenzo a una scampagnata fuori città, lo uccidono e ne seppelliscono il corpo. Poi raccontano di averlo mandato in viaggio per lavoro, ma, non vedendolo tornare, Isabella si dispera, finchè una notte Lorenzo le compare in sogno e le rivela di essere stato ucciso. La mattina Isabella si reca nel luogo indicato dal fantasma e scavando trova il corpo; ma poichè è troppo pesante da trasportare, ne taglia la testa e la nasconde in un grosso vaso di basilico. Non si separa più dal vaso, lo guarda con amore e lo innaffia con le sue lacrime tanto che la pianta cresce e diviene sempre più bella e profumata. Lo strano attaccamento di Isabella al vaso è interpretato dai fratelli come follia. Glielo sottraggono, vi scoprono la testa e, temendo che il loro delitto venga smascherato, la seppelliscono fuggendosene a Napoli. Isabella, lasciata sola e senza neppure il vaso di basilico da amare, “piagnendo si morì, e così il suo disaventurato amore ebbe terine. Ma poi a certo tempo divenuta questa cosa manifesta a molti, fu alcun che compuose quella canzone la quale ancora oggi si canta, cioè: Qual esso fu malo cristiano, che mi furò la grasta…” [ leggi la Novella ]
Il poeta inglese John Keats nel 1816 scrive il poema “Isabella or the Pot of Basil” dove sottolinea come la forza incontenibile dell’amore possa provocare eventi terribili: “Indi cresceva folta, e verde e bella Il poema di Keats a sua volta ispirò le opere di pittori Preraffaelliti quali Holman Hunt, John William Waterhouse, John Withe Alexander, John Melhuish Strudwick. |
Il basilico ispira anche alcune ricette create dagli Chef per Roma gourmet, come i Paccheri con scorfano, pomodoro e basilico di Giulio Terrinoni del ristorante Acquolina |