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L’orto condiviso da Casa Format e SP143, la toma delle viole e il dialogo con la natura di Stupinigi

La confraternita degli CHEF GIARDINIERI

L’orto condiviso di Casa Format e SP143 la toma delle viole e il dialogo con la natura di Stupinigi

di Maria Luisa Basile

Ci dovrebbero essere giardini per tutti i mesi dell’anno nei quali possano esservi cose belle di stagione, scrive nel ‘600 Francesco Bacone e a questo pensiero sembrano ispirarsi sempre più i cuochi giardinieri, uomini e donne, che disegnano piccoli orti botanici e serre accanto al proprio ristorante, in campagna o in alta collina.
Il giardinaggio è considerato da sempre un’attività capace di sviluppare virtù e temperanza e se prendersene cura insieme alla brigata o con l’aiuto di navigati ortolani procura ai cucinieri giovamento, buona salute e piacere, la speranza è che queste virtù vengano trasmesse anche a chi i loro piatti gusta.
Un ampio orto condiviso da ben due cucine è quello coltivato a Casa Format, una struttura ispirata ai principi della eco sostenibilità composta da poche curate camere, un luminoso ristorante con pareti a vetri, la piscina che in inverno fornisce riscaldamento autonomo all’edificio e, sul retro, l’ampio orto di duecento metri quadri. I frutti vengono impiegati anche nella preparazione delle pizze di SP143 Pizzeria Contemporanea.
Generoso e ordinato, l’orto è stato pensato con un geometrico disegno simile agli orti botanici o dei conventi ma anche ai giardini all’italiana, con le bordure sostituite dalle file di ortaggi. Le varietà coltivate sono piemontesi con poche deroghe. Il verde pallido delle tenere zucchine trombetta liguri sfuma nel giallo vivace delle sferiche zucche giapponesi che cedono il posto a insalate, cavoli e topinambur. Da un lato le timide fragole e dall’altro l’esuberanza dei carciofi. A spezzare il verde, compare il viola pallido dei fiori di porro e il giallo striato di quelli di zucchina.
Il confine con i campi circostanti è segnato da una serra, custode di primizie, mentre all’ingresso del ristorante un moderno terrazzamento di aromatiche degrada verso la sala ricevimenti e consente di spiluccare verbena, timo limone, salvia sclarea.
Se è immaginabile che tanta bontà segni il ritmo della cucina di Casa Format declinata sulle stagioni e i suoi frutti, è meno scontato che vadano a formare i sapori delle pizze di SP143, la pizzeria contemporanea ultima nata della famiglia de La Credenza e situata accanto a Casa Format, nella campagna torinese di Orbassano. Un’oasi a pochi chilometri da Torino e poco distante dalla Palazzina di Stupinigi.
Varcata la soglia di SP143, si notano sullo sfondo il banco dove le pizze vengono preparate e il forno elettrico, una scelta di modernità fatta per ottenere la fragranza desiderata delle pizze. Poi lo sguardo è catturato dalle spillatrici della birra (molte e di qualità le birre artigianali in carta), dai vasetti di conserve di pomodori pugliesi di Masseria Dauna coltivati nell’agro di Lucerae, dai sottoli (da gustare anche a tavola). Ghiotte vetrine i due frigoriferi a vista che custodiscono l’uno le tome di Piemonte e Valle d’Aosta e l’altro insaccati come la spalla di prosciutto cotto ottenuto da maiali pure loro valdostani che vivono la vita che gli è data ruzzolando in libertà. Movimento e ambiente salubre modellano la qualità delle loro carni e il sapore autentico dell’artigianalità è rintracciabile in varie pizze del menu. Da quella con pomodori pugliesi, fontina valdostana e prosciutto, dai sapori netti e precisi , alla “Crema di patate, prosciutto cotto, spinaci e toma delle viole”, golosa per consonanza e fusione di sapori.
La toma delle viole è un saporito formaggio piemontese artigianale scambiato nelle valli di montagna già nel ‘500. Le sue caratteristiche sono legate al metodo di lavorazione e alle erbe e fiori di viola che in primavera inoltrata ricoprono i pascoli della risalita estiva alle malghe, prelibatezza irresistibile per le mucche a dieta da fieno per tutto l’inverno. Le caratteristiche sono ben descritte da Piemonte Parchi: i profumi evocano quelli “del burro, delle foglie di castagno bagnate, di sottobosco, stalla pulita” e la struttura appare “compatta, deformabile, in bocca plasmabile”. Sono proprio i caratteristici aromi di burro e noci e la sensazione pastosa e leggermente ammandorlata senza alcuna stucchevolezza della toma sposata alla sapidità del prosciutto artigianale, a regalare alla pizza un interessante gioco di equilibri.
Gli appassionati di formaggi trovano tome per i loro denti anche nella “Mozzarella, gorgonzola naturale, fontina, formaggio di capra e parmigiano stagionato 48 mesi” nella quale la fusione dei cinque formaggi poggia su una base studiata con cura.
In tutte le pizze l’impasto è di una certa morbida consistenza, croccante e profumato. Il merito – racconta Giulio Grasso che ne è l’artefice – è “della lievitazione minima di 48 ore e dell’uso di acqua demineralizzata, oltre alla scelta delle farine selezionate che provengono dalle coltivazioni di Viva, nei campi fra Torino e Cuneo”, farine ottenute con macinatura naturale, impiegando una pietra lavica naturale proveniente dalle cave dell’Etna.
Il profumo di pane caldo che ci è tanto familiare può abbracciare anche ingredienti e tradizioni foresti, come nella pizza elegante per composizione ed estetica nella quale un carpaccio di pesce spada fa da mantello alle foglie carnose e leggermente amarognole del cavolo cinese bok choi, conditi con salsa di soia e cosparsi di furikake, le tipiche spezie giapponesi essiccate ricavate da alga nori e sesamo e tradizionalmente spolverare a tavola sul pesce, qui arricchite da una leggera nota di wasabi. Una tavolozza umami nella quale si indovina l’influsso dello chef Igor Macchia, legato al continente asiatico per passione e lavoro.
La ricchezza di aromi di ogni pizza è un dialogo costante con l’orto coltivato a pochi passi e condiviso con Casa Format, ma anche con la natura circostante. La strada statale fende i campi e in pochi minuti conduce ai viali alberati che precedono e circondano la Palazzina di caccia di Stupinigi e ai suoi giardini all’italiana che a loro volta dialogano con gli affreschi delle sale interne, ricchi di particolari tratti da flora e fauna locali.
In alcuni periodi dell’anno è possibile vivere un’esperienza sinestetica grazie alla “visita in musica”: i dipinti del XVIII secolo del pittore di corte Vittorio Amedeo Cignaroli che decorano le sale con soggetti dedicati alla natura e alla caccia, duettano con le musiche eseguite con il corno da caccia. Il corno “trompe d’Orléans” è uno strumento musicale circolare naturale (oltre 4 metri di estensione) privo di fori, tasti o pistoni, maneggevole il giusto per poter essere usato a cavallo e l’arte dei suonatori del corno da caccia è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio Immateriale dell’Umanità nel dicembre 2020, In Italia il Piemonte è l0unica regione dove ne vengono eseguite le musiche, a cura della formazione musicale dell’Accademia di Sant’Uberto.
Unica stecca della palazzina, il degrado del parcheggio invaso da rifiuti e l’attraversamento pedonale su un solo lato, opposto a quello del parcheggio e su una strada dove le automobili marciano a forte velocità, incuranti del panorama.
Maria Luisa Basile (riproduzione riservata)

 

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