È particolarmente indovinata l’insegna Vintage per un locale affacciato su una piazza ricca di ricordi e monumenti storici, dalla statua equestre di Ferdinando Duca di Genova alla battaglia della Bicocca (soprannominata dai torinesi “il cavallo che muore” per la singolare posa dell’equino colto nell’atto di stramazzare al suolo), alla Fontana Angelica, filiale omaggio di un plenipotenziario ministro alla madre ma anche, pare, monumento ricco di simbologie massoniche. Senza dimenticare l’ottocentesco Teatro Alfieri, distrutto e rifatto quattro volte e legato all’affermazione del torinesissimo Macario come ai nomi di Wanda Osiris, Domenico Modugno, Renato Rascel.
Atmosfere profondamente torinesi, recenti e già svanite che il ristorante a modo suo perpetua. E così nel 1997, mentre nel mondo Bill Clinton inizia il suo secondo mandato presidenziale, Dario Fo riceve il Nobel per la letteratura, Woody Allen convola a nozze a Venezia e Lady D si schianta per sfuggire ai paparazzi... il Vintage apparecchia. E lo fa in ambienti dandy e ovattati, definiti da damasco rosso e lampadari di cristallo, soffitti alti e legni caldi. Un’aristocratica impronta che non manca di autoironia fra la stampa del cavallo da corsa non proprio d'epoca, gli specchi che riflettono il profilo di porcellane non proprio rare e i fiori freschi che fanno da innocente sipario all’etilica parata dei liquori pregiati.
Un mix di eleganza piemontese e garbo chic fuori dalle mode, espressa anche dalla cucina di Pierluigi Consonni, solida, ampia e generosa nei piatti della tradizione, moderna e ricercata nell'evoluzione dei gusti e nella selezione delle materie prime.
Mentre si gusta l'ampia carta dei vini scegliendo fra territorio e bollicine, l’accoglienza è affidata alle cose semplici e buone della cucina popolare: pane, olio e sale. A fare la differenza rispetto al più comune “coperto” è la qualità dei prodotti. Infatti il pane è cotto nel forno a legna e l’olio è quello più fregiato dalle oleose guide. All’insegna della naturalezza sono poi gli antipasti, dalle Cozze con gelatina di acqua di mare servite come amouse bouche la cui salmastra sferzata è subito attutita dal delicato Crudo di orata che gioca con la frutta di stagione candita nello zenzero e i molti sapori delle erbe aromatiche, allo Scampo allacciato in una stretta fatalmente golosa con i funghi porcini e vivacizzato da stuzzicanti cubetti di robiola di Roccaverano e pinoli tostati. A chi spicca il volo ordinando l’Astice con scaloppa di foie gras e cipolla rossa di Tropea, il maitre-patron Umberto Chiodi Latini favorisce l’atterraggio servendo qualche fetta di profumatissima mortadella bolognese, mentre gli arditi del gusto trovano crostacei per i loro denti nel Risotto incupolato in un carpaccio di gamberi crudi (se non si è arditi, i gamberi vengono cotti senza patemi).
La tradizione ritorna prepotente e gradita nei Tajarin all'uovo (18-20 in realtà) con fungo reale e olio extravergine d’oliva e nella Milanese, una sorta di astronave Enterprise per forma e solidità di sapori. La leggera panatura di grissini e nocciole pare anticipare l'arrivo dei dolci, dal Tiramisù espresso da mille e una notte, al delicato Aspic di fragoline in gelatina di Moscato con gelato allo yogurt, sino ai Torcetti di sfoglia che accompagnano il caffè.
All'uscita, preso ormai gusto al vintage, una sosta al Caffè Norman sotto i vicini portici regala l'emozione di sedere a uno dei tavoli dove Ava Gardner aspettava Walter Chiari dopo lo spettacolo.
© Maria Luisa Basile |