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Murice

La famosa porpora di Tiro, nota in Asia Minore fin dal XV secolo a.C. e citata anche nell’Iliade di Omero e nell’Eneide di Virgilio, si estrae da due molluschi originari del Mediterraneo, noti come buccinum (Thais haemastroma) e purpura (Murex brandaris).
Una leggenda greca vuole che la tintura sia stata scoperta da Ercole che vede la bocca del proprio cane macchiata di porpora e ne attribuisce la causa al mollusco appena mangiato.
Le sostanze coloranti sono prodotte da una ghiandola, detta “fiore”, posta in prossimità della testa del mollusco – “tra il quasi fegato e il collo” scrive Aristotele – contenente un fluido chiaro. Esposto al sole e all’aria assume un colore giallo pallido, verde, blu e finalmente porpora.
Ogni mollusco fornisce una sola goccia di colorante e per questo era molto prezioso. Ne occorrono 250.000 per ricavare un’oncia e sulla sponda orientale del Mediterraneo sono ancora visibili i resti delle cataste di conchiglie lasciate dai fenici.
La tonalità più pregiata si ottiene mescolando i fluidi estratti da entrambe le specie. La tintura di solo murice è infatti più brillante, mentre gli antichi Romani preferiscono una sfumatura più cupa e nerastra ottenuta grazie al porpora. Si raggiunge così “la severità e la lucentezza cremisi che è di moda” descritta da Plinio nella sua Storia naturale.
Il metodo di produzione della porpora si perde con la conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453 e rimane un mistero per secoli, fino alla riscoperta nel 1856 da parte dello zoologo francese Lacaze-Duthiers. Bisogna però aspettare il 1909 perchè il chimico austriaco Friedlander ne ricostruisca la struttura chimica e ne scopra la similitudine con l’indaco.
Il mollusco del Mediteraneo è cucinato dallo chef Angelo Troiani con salsa alla bourgougnonne e gnocchi alla romana fritti >>

 

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