Se di solito il fumetto si muove verso l’arte, per una volta a venirgli incontro è la cucina. Giuda Ballerino! è infatti l’esclamazione ricorrente del personaggio principale del fumetto horror Dylan Dog ideato da Tiziano Sclavi con i lineamenti di Rupert Everett e il nome del poeta Dylan Thomas, e rivela la passione dello Chef per il mondo degli eroi di carta. I rimandi all’inchiostro che gioca con la carta continuano nel bianco e nero della sala della nuova sede, arredata con bei tavoli candidi sui quali spiccano i segnaposto con le effigi degli eroi delle bandes dessinées, dall’atletico ladro in calzamaglia Diabolik di Angela e Luciana Giussani al fascinoso marinaio Corto Maltese di Hugo Pratt, passando per il divertente e mefistofelico Cattivik di Bonvi (capitato per un simpatico caso a chi scrive). Alle pareti sono esposte a rotazione tavole originali, come le chine della languida Valentina di Crepax (si attendono soggetti virili per portare equilibrio al voluttuoso panorama) e unica concessione al colore sono i fiori e gli eleganti bicchieri in vetro per l’acqua.
Il segnaposto Diabolik orna un tavolo de Il Giuda Ballerino!
Oltre il fumetto e oltre la “divisa” di chi con distaccata sollecitudine serve in sala (jeans, camicia rossa e giacca nera vi ricordano qualcuno?), inizia l’avventura della cucina, molto amata da un pubblico giovane ma non solo, divertito dalle proposte e dagli abbinamenti fantasiosi dello Chef Andrea Fusco che fanno già capolino nei panini aromatizzati con formaggio, pomodoro, olive… una cucina giocosa che rivela l’animo di fanciullo dello Chef e che oltre al palato solletica la vista e il tatto: per esempio i gamberi in pasta fillo vanno battezzati nel bicchierino di spuma di mortadella prima di essere rosicchiati intorno ai bastoncini che li reggono e i fiori di zucca in pastella e in tempura sembrano ninfee galleggianti sul lago di mozzarella di bufala dal quale emergono insieme all’isoletta di squisite alici con turbante di bottarga. I richiami alla cucina romana continuano con la proposta di una zuppa di verdura e pesce. La crema di asparagi con baccalà e spaghetti d’uovo precede, come un preludio delicato, le note più robuste delle pappardelle con animelle e pistacchi e dei tortelli d’asino dalla sfoglia croccante e gonfia come il velo di una monaca felliniana, sparsi sulla salsa di fave e pecorino con colatura di alici, riusciti nella combinazione di sapori e un po’ spiazzanti per la consistenza. La croccantezza si addice invece alla pelle della coscia d’anatra, brunita, ben rosolata e alla quale fanno da squisito contrasto l’arrendevolezza della scaloppa di foie gras e della banana caramellata, con un accompagnamento di patate viola che, seppure non particolarmente saporite, sarebbero piaciute a un appassionato di botanica come Luigi XIV.
Il dolce è un trionfo di cioccolato, presentato in diverse variazioni in un crescendo di golosità nel quale lo Chef non rinuncia a inserire lo scherzetto salato di un broccoletto ricoperto di cacao.
Le periferie di Roma offrono vari indirizzi stuzzicanti e l’unico misfatto sul quale l’indagatore dell’incubo Dylan Dog dovrebbe investigare è il conto del taxi per il quale, dalla stazione Termini a Largo Appio, non bastano 30 euro fra andata e ritorno. Sorge il dubbio che Musa ispiratrice delle auto bianche sia la non lontana Porta Furba il cui nome, secondo la leggenda, deriva dal fatto che nella zona si nascondevano i briganti i quali, uscendo con mossa “furba”, depredavano gli sventurati passanti. Un’accoglienza ben diversa da quella pensata da papa Sisto V che nel 1585 fece costruire a ridosso del suo acquedotto la Fontana di Porta Furba (un mascherone alato che versa acqua in una conchiglia) per dare il benvenuto ai viandanti assetati che si avvicinavano a Roma.
L’unica rivincita se la prende la viandante single: il taxista le rivolge sguardi fra il curioso e il sospetto, preoccupato che la passeggera sia una tenebrosa Eva Kant pronta a derubarlo dell’incasso.
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“…leggere un libro delle fiabe distesi sul letto verso mezzanotte e rivisitare la stessa riga finché non se ne capisce più il senso… è in quell’attimo che si può intuire cosa si poteva scrivere, negli spazi non scritti che il poeta ha lasciato tra riga e riga, ed è allora che si può entrare nella leggenda per risvegliarsi in un sogno fatato.” Hugo Pratt, Corto Maltese. Le elvetiche ‘rosa alchemica’ |